Pietro Ricci, nato nel bresciano nel 1949, è pittore e scultore in marmo.
È difficile affermare quale delle due arti visive si presti meglio all'espressione della sua sostanza artistica ed umana. Esse si sono create e sviluppate in lui in una storia intrecciata nei nodi della sua evoluzione, scanditi anche da incontri con personaggi (artisti di rilievo, gruppi e movimenti artistici, critici) i quali hanno avuto una parte importante nel rispecchiarlo e nel catalizzare alcune sue scelte. Appassionato nel disegno già all'età di 8 anni, dai 14 è allievo dello scultore Repossi di Chiari, maestro poetico e amorevole che lo conferma nella sua predisposizione naturale e lo lascia totalmente libero di spaziare nella fantasia e di immergersi nel profondo del suo mondo interiore, esprimendolo nelle sue prime creazioni: già nella sua iniziale adolescenza quindi la ricerca dell'allievo di note universali si esprime in gesti liberi che spesso si allargano persino oltre lo spazio bianco della tela. A 15-16 anni la passione per l'arte gli fa superare l'attaccamento alla famiglia e lo fa vivere fra gli artisti dei Navigli a Milano. Nel suo lavoro egli ha sempre optato per tele grandi ed opere in marmo di ampiezza superiore alla dimensione naturale dei soggetti. La tecnica, ricercata e raggiunta dopo anni di studio approfondito della storia dell'arte e di dedizione assidua al disegno, al colore e ai modelli scultorei, si raffina via via sia nella efficacia delle pennellate che nel tatto: attualmente egli dipinge spesso con le sole mani senza ausilio di strumenti, mentre nella scultura sfida se stesso nel domare materiali fra i più duri fra marmi e graniti per ottenere da tale materia morbidezza ed intimità di espressione. Pur provenendo da una scuola -bottega classica che non rinnega quale solida base di preparazione, nella sua ricerca egli tende a raffigurare la realtà in una chiave più drammaticamente attuale. L'Olimpo con le sue forme perfette è quindi sullo sfondo, mentre in prossimità dell'opera da svolgere la lotta ardente della vita gli richiede sia momenti di rifugio in forme primordiali viste dall'occhio di un uomo moderno sia arditi slanci nel mondo metafisico ed emotivo, in un intreccio che tende a far rivivere la storia. Si tratta di un espressionismo astratto, non intellettuale ma vissuto con una forte tensione ideale che si avvicina come movimento all'espressionismo tedesco. Movimento e volume danno vita alle tele per narrare nostalgicamente ma implacabilmente lo sfuggire dell'attimo, il fluire come essenza della condizione umana. Una sua peculiarità è infatti l'aspetto fluttuante delle forme, che si alternano e si rincorrono facendo emergere l'ambiguità del reale, con l'ancora di un profondo attaccamento alla matrice primordiale della vita. Nella scultura il dolore è ancora più profondamente conficcato nei corpi, i quali con le espressioni e le posture parlano il loro linguaggio muto, tanto silenzioso quanto irrevocabile.
Eventi significativi: negli anni settanta incontra a Milano il critico Di Candia che lo presenta favorevolmente alla sua prima mostra personale. Successivamente sarà il critico prof. Franza a seguirlo all'interno del gruppo Mirabilia con mostra allo studio Urso di Milano e al Liceum.
Altri importanti incontri a Roma con il pittore giapponese Masujma e lo scultore dalmata Lozica con il quale lavora alle Cariatidi di Bruxelles. Un evento particolarmente stimolante è negli anni novanta la conoscenza personale dell'artista Salvatore Fiume pittore, scultore e poeta.
Dagli anni settanta in poi è un susseguirsi di mostre personali e collettive fra cui le più significative a Milano, Roma, Modena, Lugano, Parigi, Stoccolma, Los Angeles, New York.
Da vari anni lavora come pittore nel suo studio a Meano, un piccolo borgo della provincia bresciana e per le sculture a Calcio (BG). Altri critici (O. Villatora, F. Fuoco, F. Veronesi) si sono interessati al suo lavoro su quotidiani e riviste d'arte. Alcune sue opere si trovano presso collezioni pubbliche e private.
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